Fondazione Cariplo, filantropia, persone e luoghi dal 1816

Una storia che affonda le sue origini nella Commissione Centrale di Beneficenza. Con un motto: Tute servare, munifice donare

Fondazione Cariplo, filantropia, persone e luoghi dal 1816
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Nel giugno del 2016, Fondazione Cariplo ha avviato una profonda attività di analisi che ha portato ad una nuova rappresentazione identitaria, un nuovo brand. Si è trattato di un percorso inusuale, che è partito dal basso, con l’ascolto di persone che dall’esterno hanno offerto, attraverso il loro punto di vista, un mosaico di percezioni e di suggerimenti. È stata attivata la collaborazione con il Politecnico di Milano (Polidesign) che ha condotto, con il professor Francesco Zurlo e i suoi giovani collaboratori, il processo, che di volta in volta ha visto il coinvolgimento di stakeholder, dei dipendenti e degli organi della Fondazione Cariplo. Più di 120 persone hanno partecipato ai gruppi di lavoro.

Fondazione Cariplo, vicina alle persone con un’attività filantropica quotidiana

L’obiettivo era di offrire una chiave di racconto, più in linea con quello che di fatto oggi la Fondazione Cariplo è già. Ossia vicina alle persone con la propria attività filantropica quotidiana. Al termine del percorso di analisi, a maggio 2017, è stata lanciata una call tra i giovani studenti. A loro è stato chiesto di proporre ipotesi di un’identità visiva che rispondesse da un lato alle necessità istituzionali della fondazione, dall’altro di poter offrire modalità di racconto con nuovi linguaggi comunicativi. A partire dal brand. Parallelamente è stata indicata la società Inarea, come advisor, in affiancamento al gruppo di lavoro del Politecnico. Il compito era di raffinare le proposte dei giovani creativi per dare poi struttura e organizzazione al sistema di identità della Fondazione Cariplo. La volontà era di far interpretare la modernità e l’istituzionalità a coloro i quali guardano oltre il presente, i giovani, per definizione.

Tute servare, munifice donare

Nell’autunno 2017, le proposte sono state condivise a vari livelli, all’interno di Fondazione Cariplo, fino alla decisione in Consiglio di Amministrazione. Tutte le ipotesi che sono state presentate si sono concentrate sullo sviluppo del monogramma. Quasi ad identificare un modo semplice quanto efficace per individuare un tratto distintivo, oltre che grafico. un nome ed un cognome, come si usa fare anche tra le persone. L’anello di congiunzione tra la modernità, l’istituzionalità e la tradizione è il motto in latino che campeggia in evidenza: Tute servare, munifice donare. Conservare con cura, per donare con generosità che rappresenta perfettamente e sintetizza quel che la Fondazione Cariplo fa. Conserva un patrimonio, lo mette a reddito, e ne trae le risorse economiche per svolgere l’attività filantropica, in modo moderno e professionale.

La Commissione Centrale di Beneficenza

A tutto ciò è stata collegata un’altra chiave di lettura che recupera le vere radici della Fondazione Cariplo. Queste non stanno nella Banca, com’è l’opinione comune, ma in un organismo che già operava a Milano nel 1816. E che di lì a poco, proprio nel 1818, cioè esattamente 200 anni fa, si sarebbe chiamata Commissione Centrale di Beneficenza. Fu questo organismo che, successivamente, nel 1823 fece nascere la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. Quasi a dire che… è nata prima la Fondazione che la Banca, l’attività filantropica piuttosto che quella di sportello. Un modo semplice per rovesciare la percezione di quello che oggi fa la Fondazione, che affonda le sue radici in un contesto fatto di povertà.

Le origini affondano nell’ultima grande carestia europea

Le origini della Commissione Centrale di Beneficenza, nata col nome di “Commissione centrale per dar lavoro ai poveri” risalgono al 1816, il tristemente noto “anno senza estate” (o “senza sole”). Nel 1815 l’esplosione in Indonesia del vulcano Tambora innescò un disastro ambientale dalle ripercussioni globali che ebbe la sua massima portata nel biennio 1816-1817. Il crollo generalizzato dei raccolti provocò una enorme carestia. Si trattò, in un certo senso, della prima emergenza “globale” con cui la storia contemporanea venne in contatto. Forse l’ultima grande carestia che colpì l’intera Europa.

La società reagisce alla situazione di emergenza straordinaria

Come reagire a un contesto tanto catastrofico, dalle ripercussioni sociali potenzialmente devastanti? Le modalità di intervento e le scelte di principio - solidarietà sociale, sussidiarietà fra pubblico e privato, autonomia decisionale dell’ente - alle quali nel 1816 si ispirarono il governo austriaco, da poco re-insediato, e soprattutto il patriziato lombardo “illuminato”, possono fornire anche oggi elementi validi per una riflessione sulle energie politiche, economiche e culturali che si sprigionarono all’interno della società per reagire a questa straordinaria emergenza.

Creare posti di lavoro per affrontare l’indigenza

I progetti elaborati dalla Commissione in quel lontano 1816 avevano come obiettivo primario quello di creare posti di lavoro (e quindi mezzi di sostentamento) destinati a coloro che la crisi aveva portato all’indigenza. In un biennio si concessero mutui senza interesse ai comuni di tutto il territorio lombardo per promuovere opere pubbliche che permisero di dare lavoro oltre 16.000 persone. Si elargirono inoltre ai comuni i fondi per edificare nuove case di lavoro volontario (le cosiddette case di ricovero e d’industria). Mentre solamente a beneficio dei cosiddetti “inabili al lavoro” venivano progettate delle case di ricovero con il precipuo obiettivo di limitare il fenomeno dell’accattonaggio.

La creazione di un complesso sistema assistenziale

Attraverso la Cassa di risparmio, i cui utili, a partire dal 1860, vennero in larga parte ‘restituiti’ in beneficenza al territorio di riferimento, il circuito virtuoso risparmio/beneficenza trovò un formidabile slancio: le erogazioni, elargite ininterrottamente per un lunghissimo lasso di tempo, hanno infatti contribuito in modo rilevante alla creazione di un complesso sistema assistenziale che ha inciso in modo profondo e duraturo su alcune infrastrutture portanti della società lombarda (ospedali, asili, strutture assistenziali per i poveri in primis).

Dal Fondo ospedali alla Fondazione Opere Sociali

Alcuni esempi: del 1903 è la costituzione del Fondo ospedali che di fatto finanziò una complessa ristrutturazione del sistema ospedaliero lombardo attraverso uno stanziamento di ben nove milioni di lire di allora, incrementato di altri 25 milioni per il quadriennio 1911-1914 “per la soluzione effettiva della questione ospedaliera”. Attraverso il Fondo Umberto principe di Piemonte, nel 1905 si promossero la costruzione e sistemazione degli asili infantili. Finanziandone la ristrutturazione e le spese di gestione e contribuendo a creare una capillare rete di ricoveri dove le madri lavoratrici, per lo più operaie, potevano collocare i propri bambini. Più recentemente, del 1965 fu la costituzione della Fondazione Opere Sociali della Cariplo che finanziò numerose strutture assistenziali e di primo rifugio rivolte in primis agli emigranti (in particolare quelli che arrivavano al nord dal su dell’Italia) e agli studenti, anche provenienti dai paesi in via di sviluppo.

Storie/1: una borsa di studio davvero importante

Nel 1959 il giovane venticinquenne Carlo Rubbia scrive alla Commissione Centrale di Beneficenza dalla Columbia University: “I miei più sentiti ringraziamenti per l’assegnazione della borsa di studio. Attualmente mi trovo a New York, partecipo alla Columbia University ad un esperimento di fisica nucleare da eseguirsi alla macchina acceleratrice di Nevis….” Carlo Rubbia, tornerà in Italia e vincerà poi nel 1984 il premio Nobel per la fisica. Entrerà anni dopo a far parte della Commissione Centrale di Beneficenza.

Storie/2: Elvira Dettoni, la prima borsa di studio a una donna

Elvira Dettoni nata a Finalborgo (Genova) nel 1886; conseguì gli studi di ragioneria e, appartenendo a una famiglia numerosissima, ricadde perfettamente nei criteri di scelta per le borse di studio. L’assegnazione, approvata nella seduta del 28 dicembre 1905 dalla Commissione Centrale di Beneficenza, consentì alla Dettoni di diventare beneficiaria di una delle borse di studio messe a disposizione presso l’Università Commercio Luigi Bocconi a favore di giovani meritevoli appartenenti a famiglie bisognose. L’importo era di 960 lire annue. Il 22 luglio 1909 Elvira Dettoni si laureò a pieni voti.

Storie/3: il primo libretto di risparmio della Cariplo intestato ad una donna

Fra le “scritture femminili” dell’età della Restaurazione (1815-1859) un caso particolarmente interessante è quello relativo alle carte riferibili alle attività economiche delle donne nella prima metà dell’Ottocento. I Mastri contengono la registrazione dei libretti di risparmio aperti presso la Cassa di Risparmio di Milano dal 1823 in avanti (riportando per ogni pagina del registro i movimenti di un libretto). Il libretto di deposito, in quanto documento rilasciato dalla banca all’atto della stipulazione di un contratto di deposito a risparmio, veniva utilizzato presso la Cassa di Risparmio di Milano durante la Restaurazione come libretto al portatore con l’indicazione di un intestatario.

Uno strumento per regolare crediti e debito senza spostare denaro

Grazie a questo strumento, la Cassa si rivolgeva, nella prospettiva filantropica che la guidava, ai propri utenti privilegiati, gli artigiani, i giornalieri e i membri dei ceti meno agiati. Ma non solo, poiché chiunque avrebbe potuto trarne profitto, soprattutto in assenza sul territorio di un’articolata struttura creditizia. Il libretto, così come era concepito, rappresentava di fatto una sorta di banconota con interesse. Un efficace strumento per regolare crediti e debiti senza che fosse necessario un materiale spostamento di denaro. L’obiettivo per il quale la Cassa era nata era d’altra parte perseguito fissando, nel 1823, in 300 lire austriache l’importo massimo per i versamenti. E in una lira austriaca quello minimo, le operazioni possibili per ogni persona ad una al giorno e l’interesse sul deposito al 4%.

Tra il 1823 e il 1859 sono 2.500 le donne che aprirono un libretto

Si contano i nomi delle circa 2.500 che aprirono un libretto tra il 1823 e il 1859 (pari ad almeno un terzo dei depositanti totali); spesso accanto al nome della donna vi era un libretto intitolato al marito o ad altri membri della stessa famiglia. L’analisi dell’andamento del risparmio nei libretti femminili potrebbe  gettare luce sulle centinaia di donne titolari di una piccola attività commerciale. O assunte come levatrici, domestiche o maestre, presso istituzioni pubbliche o private (quali l’Ospedale Maggiore, i collegi, le scuole). O presso le case aristocratiche e borghesi della Milano del primo Ottocento. Donne che, con il loro lavoro e il risparmio, costituirono una parte importante nella creazione del ruolo commerciale, finanziario e imprenditoriale del capoluogo lombardo alle soglie dell’età contemporanea.

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